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BREVIARIO DI MEDITAZIONE
Chandra Livia Candiani

 

Mi inchino tre volte cercando rifugio nel Risveglio (il Buddha che vive in me), nella capacità di accogliere le cose così come sono (il Dharma), nell’etica che accomuna (Sangha).

 

Mi siedo e presto attenzione a dove sono, alla luce che c’è, all’atmosfera, ai suoni.

Scelgo una postura dove la schiena possa stare facilmente dritta come il tronco di un albero e le gambe incrociate le siano radici. Sento i punti di appoggio. Lascio cadere le spalle, socchiudo leggermente le labbra, la mascella si ammorbidisce. Poso le mani sulle gambe o una sull’altra. Sento il tocco dei vestiti e quello dell’aria dove la pelle è nuda. Sento la postura del cuore: posso prepararmi ad accogliere tutto quello che verrà?

Delicatamente, lascio che si chiudano gli occhi, le palpebre leggere come petali.

Porto una morbida attenzione al respiro, come farei con una farfalla: ne osservo i particolari, il respiro entra in me, seguo il suo percorso nel corpo, avverto la piccola pausa e poi l’espirazione, seguo il suo uscire nel mondo, lo accompagno, avverto la pausa prima che ritorni una nuova inspirazione. Sto con il respiro come con un filo sacro, è in me dalla nascita, lo benedico, lo accompagno con attenzione devota. Gli sorrido.
 

Se la mente è irrequieta dico: “parole, parole”, senza astio ma con avvedutezza e lascio delicatamente andare, tornando alla conoscenza intima con il respiro. Quando la mente si acquieta, invito quello che duole o che è rimasto sospeso o che crea irrequietezza a venire al cospetto del cuore. Non sono né pro né contro, lascio essere, assaporando nel corpo l’impatto con l’emozione. Non mi lascio portar via, non commento, non nego: sto, respirando e aprendomi alla visita. Se cambia, lascio che cambi e avverto com’è nel corpo il cambiamento.
 

Frequentemente chiedo: “cosa sento?” e lascio che il corpo-mente-cuore sappia di sentire e risponda.

Se mi distraggo, senza rimproverarmi torno al respiro e se c’è quiete posso chiedere: “dov’ero? Cosa mi ha rapito?” e lascio essere nel corpo-mente-cuore quel che si rivela, sempre solo sotto forma di sensazioni, non di commenti o di spiegazioni.
 

Se i pensieri iniziano a proliferare, torno alla semplicità del respiro.

Se c’è ottusità o sonnolenza investigo: “cosa sei? Dove sei? Da cosa fuggo?” senza rispondere.

Quando il cuore è presente e ben spazzato posso continuare la pratica del non-agire, lasciar essere e lasciar passare fino alla fine della seduta, oppure visitare una delle quattro dimore divine, quella che più si adatta al momento: gentilezza amorevole se sento mancanza e avversione, compassione se sento dolore o dispiacere, mio o di qualcun altro, gioia empatica se avverto invidia o confronto insano, equanimità se sento il bisogno di equilibrio e di giustizia, di accoglienza senza prendere posizione contro o a favore. Da quella dimora invio a me e ad altri l’augurio, la benedizione che sento necessaria.
 

Termino la pratica con la dedica dei meriti (dell’energia che si è risvegliata) a tutti gli esseri senza distinzioni oppure a tutti gli esseri che sono in emergenza, e se ho qualcuno che mi sta a cuore e sta soffrendo posso aggiunger il suo nome.
 

Di nuovo cerco i Tre Rifugi negli inchini.

Sono pronta a continuare a praticare nella vita: “Questo è il momento!”

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