Freeing the practice from form and habit
Liberare la pratica dalla forma e dall'abitudine
The other evening during a conversation with a small group of meditators, each shared their opinion about the importance of a daily sitting. They all shook their heads in agreement at the value of this practice. In the days afterward, this kept returning to mind. Something kept pushing to be investigated further.
Meditation is often considered a time when we 'sit' and dedicate ourselves to being aware of the present moment. There is often a special space, a specific cushion or chair, a particular time, maybe even a Tibetan bell, and a timer. One might say that a certain form and/or habit is established. This can be helpful in supporting a disciplined practice. There is no doubt that 'sitting' can bring beneficial consequences.
We might however take a moment to consider the consequences of creating a form and/or habit out of our practice. Form creates an identity defined by limitations and boundaries. It pulls together content and so constructs an object to grab hold of. The practice is offered on a plate of stability with concepts to understand, becoming imprisoned and separate from the flow of ordinary life. It becomes something we do and not how we live. Our practice can become lifeless when habit is the driving force. It simply becomes routine, no longer expressing its vitality and transformative energy.
The practice unfolds within us, offering a new perspective on what surrounds us, and with this our world changes from the 'inside out'. For this reason, it must be free, otherwise the doors and windows will not open fully to what is possible. We end up living by peeking through cracks, seeing slivers of light and truth but never being embraced by the whole.
Fear is the element that keeps the door locked, and us in our comfortable prison. The door can be unlocked with trust and courage, found in the heart, to step outside of our safely guarded environment. The practice is transformative when there is freedom and spaciousness.
Letting go of the practice as form and/or habit it is freed, and walks into our lives, cleaning the mirror of dust while pulling back the veils of illusion.
L'altro giorno, durante una conversazione con un piccolo gruppo di meditanti, tutti hanno condiviso la loro opinione sull'importanza di una seduta quotidiana e tutti hanno espresso il loro assenso per il valore di questa pratica. Nei giorni successivi, questo argomento continuava a tornarmi nella mente. Qualcosa continuava a spingere per essere indagato ulteriormente.
Per chi la pratica, la meditazione è solitamente concepita come un'attività in cui ci si siede e si dedica del tempo alla consapevolezza del momento presente. . Spesso c'è uno spazio speciale, un cuscino o una sedia specifici, un momento particolare, forse anche una campana tibetana e un timer. Si potrebbe dire che una certa forma e/o abitudine è stabilita. Questo può essere utile per sostentere una pratica disciplinata. Non c'è dubbio che una "seduta" porti conseguenze benefiche.
Potremmo tuttavia prenderci un momento per considerare le conseguenze della creazione di una forma e/o abitudine per la nostra pratica. La forma è un modo di creare un'identità definita da limitazioni e confini. La forma tiene insieme il contenuto e quindi costruisce un oggetto a cui aggrapparsi. La pratica viene offerta su un piatto di stabilità con concetti da comprendere, diventando imprigionati e separati dal flusso della vita ordinaria. Diventa qualcosa che facciamo e non come viviamo. La nostra pratica può diventare senza vita quando l'abitudine è la forza trainante. Diventa semplicemente routine, non esprime più la sua energia vitale e trasformativa.
La pratica può prendere vita dentro di noi, offrendo una nuova prospettiva di ciò che ci circonda e con questo il nostro mondo cambia. Per questo motivo, deve essere una pratica libera, altrimenti le porte e le finestre non si aprono completamente a ciò che è possibile. Finiamo per vivere sbirciando attraverso le crepe, vedendo schegge di luce ma senza mai essere abbracciati dal tutto.
La paura è l'elemento che tiene la porta chiusa a chiave e ci tiene nella nostra comoda prigione. Possiamo sbloccare la porta con la fiducia e il coraggio di uscire dal nostro ambiente sicuro e protetto. La pratica è trasformativa quando c'è libertà e spaziosità.
Quando lasciamo andare l'idea della pratica come forma o abitudine e le permettiamo di essere libera, essa entra nelle nostre vite, pulisce la polvere dallo specchio e solleva i veli dell'illusione.
by Elizabeth Genovesi