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Contemplare I Cinque Aggregati
Per approfondire:
Mindfulness,
Una guida pratica al risveglio
Joseph Goldstein
Capitolo 22
Contemplare i cinque aggregati
Mindfulness, Una guida pratica al risveglio
Joseph Goldstein

La grande importanza di questi insegnamenti sui cinque aggregati sta nel fornire un modello per l'analisi esperienziale di ciò che definiamo il 'sé'. Inoltre, come osservava il Buddha, quando gli aggregati non vengono compresi adeguatamente diventano fonte di agitazione, stress e sofferenza nella vita. Qui l'indagine non è un esercizio astratto di filosofia buddhista, ma un'esplorazione diretta e precisa della natura dell'esperienza personale.

 

Comprendere l'impermanenza
A partire dalla comprensione dell'impermanenza, ogniqualvolta notiamo il sorgere dei fenomeni (una sensazione fisica, una tonalità affettiva, una percezione alle porte sensoriali o un concetto nella mente, un'intenzione o un altro stato mentale, la coscienza) stiamo praticando la consapevolezza degli aggregati secondo l'insegnamento del Buddha.
Sebbene la verità dell'impermanenza si rileva naturalmente quando prestiamo attenzione a ciascun oggetto emergente, possiamo anche andare più a fondo per comprendere davvero questa verità del cambiamento. Quando praticavo con Sayadaw U Pandita, egli chiedeva di riferire non solo quali oggetti emergessero nella nostra meditazione, ma anche cosa accadeva a ciascun oggetto mentre lo osservavamo. Ci vuole un interesse preciso e sostenuto per investigare in questo modo.

La natura insoddisfacente dell'esperienza
Contemplare l'impermanenza degli aggregati ci ricorda che fanno tutti parte di uno spettacolo perennemente effimero e, per questo motivo, in ultima analisi insoddisfacente. Per via della loro natura instabile e mutevole, siamo sempre in attesa del prossimo evento.

Possiamo vedere all'opera questa aspettativa nei nostri desideri mondani e anche nella pratica meditativa. Tuttavia, in quanto oggetto di consapevolezza, qualunque esperienza emergente diventa un veicolo di risveglio. Non dobbiamo attendere un'esperienza bella o speciale per essere consapevoli. Qualunque oggetto va bene, nulla è fuori dalla portata della presenza mentale.

Vedere gli aggregati come non sé
Dopo aver contemplato la natura impermanente e insoddisfacente degli aggregati siamo pronti a viverli come impersonali. Man mano che approfondiamo questa comprensione, smettiamo di rivendicarli come 'io' o 'mio' e dunque smettiamo di soffrire quando, inevitabilmente, interviene il cambiamento. È un modo radicalmente diverso di considerare il corpo e la mente. 
"Bhikkhu, tutto ciò che non è vostro, abbandonatelo. Quando lo avrete abbandonato, sarà per il vostro bene e la vostra felicità".

'Abbandonare' significa abbandonare il sentimento di possesso, l'identificazione con gli aggregati in quanto 'io' o 'mio'.

La natura composita del corpo
Possiamo vedere chiaramente come l'osservazione superficiale generi il senso dell'io in relazione al corpo. Ci alziamo al mattino, guardiamo nello specchio; vediamo certi colori e forme, riconosciamo uno schema, e produciamo un concetto che designa quel che vediamo come una entità sostanziale.
Quando osserviamo il corpo da vicino contemplando il primo aggregato degli elementi fisici, andiamo oltre l'illusione della compattezza e scorgiamo la natura composita del corpo. L'attaccamento al corpo condiziona profondamente anche la nostra paura della morte. In meditazione passiamo da una percezione del corpo come qualcosa di solido e sentirlo come sistema energetico mutevole, fluido, insostanziale. 

Identificarsi con i pensieri e le emozioni
Il senso dell'io si rafforza anche quando ci identifichiamo con gli aggregati mentali, con sensazioni e pensieri particolari, con le emozioni o gli stati meditativi.

Una delle intuizioni più liberanti che derivano dalla meditazione è che i pensieri hanno solo il potere che gli diamo noi. Eppure sono terribilmente seducenti, in particolare quando si associano a certi emozioni. I pensieri inosservati dominano la nostra vita; oppure, non appena ne siamo consapevoli possiamo vederli come una semplice interazione di aggregati, impermanente e priva di un sé.
Osservate bene la differenza che passa fra perdersi nel pensiero ed essere consapevole di pensare. Non conta per quanto tempo vi siete abbandonati al flusso di coscienza: non appena ne emergete, notate subito quel risveglio, quell'attimo di riconoscimento, senza affrettarvi a tornare al corpo o al respiro. Quell'istante può svelare sia la natura vuota del pensiero sia la capacità chiarificatrice della consapevolezza.
Allo stesso modo, ci identifichiamo con certi stati d'animo o stati mentali, generando un vivido senso dell'io e, come se non bastasse, costruendoci tutta la storia personale attorno all'emozione. Costruiamo la storia della nostra vita, poi ci viviamo dentro. Ma in realtà non succede nulla, ci sono solo stati mentali transitori che emergono e passano.

 

Smantellare il concetto di sé
Sulla base della comprensione degli aggregati il Buddha diede una serie di discorsi volti a smantellare il concetto di sé con incisiva lucidità. Scopriamo che non c'è bisogno di eliminare o demolire il sé o l'io. Piuttosto, capiamo che non è mai esistito nulla del genere. Sebbene questi discorsi furono pronunciati nel contesto della tradizione filosofica indiana dell'epoca, seguire il suo ragionamento può condurre a una straordinaria e radicale trasformazione del nostro punto di vista.
Cominciamo a capire che il sentiero della pratica non mira a ottenere

nuove esperienze di questo aggregato o quell'aggregato, ma alla libertà di non attaccarsi a nessuno di essi come se fosse 'io' o 'mio'.

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