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Risvegliarsi all'essere

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Risvegliando . . .
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> Liberare la Pratica

Piccoli consigli

° Leggi lentamente. La prima volta leggi l'intero testo. Altre volte, leggi solo un paragrafo o poche frasi. 
 

° Stampa e metti in un posto facilmente accessibile in modo da poterlo consultare durante il giorno per leggere piccole parti.

 

° Inizia un diario per annotarti domande, dubbi, esperienze, intuizioni, emozioni, ecc.

 

° Non è necessario meditare su questo testo. La riflessione o la contemplazione possono essere più utili al di fuori della meditazione formale. Lascia che la tua seduta favorisca una mente chiara, una mente tranquilla, silenziosa.

 

° Tutto sarà disponibile sul sito web di Appamada

Dopo ogni incontro, il link verrà pubblicato sulla chat di gruppo per una facile consultazione.

Risvegliarsi all'essere

Corrado pensa -

Contributo di Rita Gallo

Parte 1

Corrado Pensa, insegnante di meditazione Vipassana e studioso di buddhismo, parla del risveglio spirituale come di un processo profondo e trasformativo che nasce dalla consapevolezza e dalla comprensione diretta della realtà. 

Nei suoi scritti, spesso in dialogo con il pensiero buddhista, il risveglio spirituale non è qualcosa di mistico o lontano, ma un cammino concreto verso una maggiore presenza mentale, libertà interiore e compassione. I suoi scritti sono ricchi di esempi pratici utilissimi.
 

Ecco i punti chiave del concetto secondo Pensa:

 

  1. Consapevolezza del momento presente:
    il risveglio comincia con il radicamento nell’“adesso”, attraverso la pratica della meditazione e l’osservazione non giudicante di pensieri, emozioni e sensazioni corporee.
    Per addestrare la consapevolezza abbiamo bisogno di qualcosa di semplice come le azioni del respirare e del camminare: oggetti semplici ed a portata di mano, il più possibile neutri.
    Tutte le grandi tradizioni fanno perno su una pratica contemplativa, su un lavoro interiore assiduo e regolare. E’ necessario un punto di appoggio forte per fronteggiare l’ignoranza.
    La “pratica” è “educazione”, è ciò che rafforza la mente, la trasforma, ne tira fuori tutta la potenzialità positiva, tutta la sua forza e la rende capace di applicarsi all’impegnativo lavoro di contrastare l’ignoranza.
    Se manca questo rafforzamento, il potere resta in mano agli inquinanti, resta in mano alla sofferenza.
    La pratica è la “bottega dell’artigiano interiore”: si prova, si riprova, si affina, ci si entusiasma lavorando lì sul nostro bancone, sul nostro materiale. E lo strumento che abbiamo è la consapevolezza.


La consapevolezza (Sati) è definita abitualmente come:
 

- “attenzione non giudicante”: un’attenzione per l’attenzione, contemplativa, silenziosa, un’attenzione impersonale, non centrata sull’io, priva dei “mi piace” e “non mi piace”, pienamente partecipatoria, non fredda;

 

- “attenzione saggia” quella che non alimenta gli inquinanti: attaccamento, avversione, ignoranza. E’ innanzitutto una prima comprensione delle quattro verità circa la sofferenza.
 

Non si tratta di attenzione “tesa”. Si dice anche “riposarsi nella consapevolezza”. Quindi non c’è sforzo.
 

L’attenzione gratuita, l’attenzione di per sé, quella non funzionale, porta unione, unità, unificazione e pacificazione. 

Alcune sette dell’epoca del Buddha erano fataliste; il Buddha invece non lo era. Se si lavora e abbiamo la capacità di farlo, i problemi si superano.
 

Più pratichiamo e più la pratica è facile; meno pratichiamo e più la pratica è difficile. Pratichiamo con interesse, con sollecitudine, con appamada: con amore per il lavoro interiore.

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